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Star Wars: Andor – la multirecensione della redazione sulla settima, ottava e nona puntata della seconda stagione [SPOILER]

La seconda stagione di Andor è arrivata al suo giro di boa con la usuale tranche di tre episodi pubblicata su Disney Plus. Cosa ne pensa la redazione? Scopriamolo insieme!


Andor e il cuore nero dell’Impero – Kiurlo Di Mare

Ammetto che fino a qualche settimana fa avevo delle perplessità. Lo scrivevo chiaramente dopo aver visto il blocco di episodi 4, 5 e 6: “Mi sento confuso. Da una parte non riesco a smettere di apprezzare quanto questa serie sia superiore a tutto ciò che Star Wars ha proposto finora sul piccolo schermo. Dall’altra, non capisco davvero se il problema sia che si stiano prendendo troppo tempo per raccontare certe cose, o troppo poco per farle esplodere davvero.”

Mon Mothma nella seconda stagione di Andor

Ebbene, quelle perplessità oggi sono state tutte superate.

Gli episodi 7, 8 e 9 della seconda stagione di Andor non solo fanno esplodere tutto ciò che era stato seminato, ma lo fanno con una forza che travolge ogni riserva precedente. È come se la serie avesse fatto un lungo respiro, calibrando ogni elemento con pazienza, per poi colpire con precisione chirurgica al momento giusto.

Ci sono momenti in cui una serie smette di essere “solo una bella storia” e si trasforma in qualcosa di più: una lente sul presente, uno specchio del passato, e un interrogativo aperto sul futuro. Gli episodi 7, 8 e 9 della seconda stagione di Andor sono esattamente questo.

Se già nei blocchi precedenti la serie aveva mostrato i muscoli sul piano tecnico, registico e narrativo, qui compie un salto ulteriore: diventa un trattato politico. Un racconto lucido, spietato e profondamente terreno sul concetto di dittatura. Un termine che Star Wars aveva sempre usato con una certa leggerezza scenografica, ma che qui assume contorni precisi, concreti, dolorosi.

La rivolta di Ghorman nella seconda stagione di Andor

La rivolta di Ghorman non è solo una sollevazione popolare: è un’eco storica. Il modo in cui viene orchestrata la repressione, con tanto di propaganda, manipolazione dell’informazione, e linguaggio istituzionale deformato per nascondere la verità, richiama da vicino i peggiori momenti del nostro Novecento. Il riferimento al fascismo, e a certe dinamiche della propaganda autoritaria, è tutt’altro che velato. È consapevole.

E non servono maschere o spade laser per sentirne il peso: bastano gli occhi della gente comune, gli abiti ispirati all’Europa occupata, le frasi taglienti dei giornalisti imperiali. È qui che Andor compie la sua magia più inquietante: ci fa dimenticare di essere in una galassia lontana lontana.

Mon Mothma e Bail Organa non sono più comprimari decorativi: sono resistenti che si muovono in equilibrio precario dentro un sistema che conoscono fin troppo bene. Il loro dibattito non è solo funzionale alla trama, è un urlo sottile ma costante su quanto sia difficile, oggi come allora, dire la verità senza venire travolti.

Ma il cuore pulsante resta sempre Cassian. Non come protagonista assoluto, ma come simbolo. L’uomo qualunque travolto dagli eventi, disilluso eppure trascinato in una lotta che non ha scelto… almeno non nel modo classico. La sua vendetta, il suo dolore, la sua rabbia sono ancora lì. Ma ora sono intrecciati alla consapevolezza che certi nemici non si battono solo con il fuoco, ma con la memoria, l’organizzazione, e purtroppo anche con il sacrificio.

Forse Andor sta tirando troppo la corda rispetto ai canoni della saga? Forse. Ma in questi episodi ho sentito un’urgenza rara. Un’urgenza che non vuole accontentarsi di farci divertire, ma ci costringe a guardare più a fondo.

E se guardi davvero, ti accorgi che questo è ancora Star Wars. Lo è più che mai. Non nel modo in cui ce l’aspettavamo, ma nel modo in cui ne abbiamo bisogno.

Andor nella sua forma più matura e consapevole – Marco

Devo ammetterlo: raramente una serie ambientata nell’universo di Star Wars mi ha colpito così nel profondo come questa seconda stagione di Andor. Gli episodi 7, 8 e 9 sono stati una vera escalation di emozioni, con un crescendo narrativo che mi ha lasciato più e più volte con il classico groppo in gola. Gli episodi 8 e 9, in particolare, li ho trovati devastanti e splendidi, forse i miei preferiti, finora.

Una delle cose che ho notato subito è la forte presenza di riferimenti terrestri: architetture familiari, oggetti riconoscibili, persino atmosfere e dinamiche politiche che sembrano prese di peso dalla nostra storia recente. Questo rende il tutto molto più vicino e più potente. Andor non fugge nell’allegoria: ci guarda in faccia e ci mostra cosa succede quando un sistema opprime, e cosa serve per ribellarsi.

La consapevolezza di Bix mi ha profondamente toccato. Non è solo una comprimaria: è una testimone viva del dolore e delle conseguenze della lotta. La sua scelta di andare via, la sua accettazione del destino di Cassian… c’è una dignità che mi ha particolarmente colpito. In un certo senso, è l’eco della Forza che, anche se non urlata, si affaccia e mostra la sua presenza. L’incontro di Cassian con la Santona nell’episodio 7 ne è la prova lampante, un momento intimo e struggente.

A Ghorman assistiamo al cuore pulsante della rivolta e rappresenta il punto di arrivo e di partenza di tutta la storia: giovani inesperti buttati nella mischia per provocare lo scontro, gli slogan urlati dagli abitanti del pianeta e il canto che ricorda “Bella Ciao”, sono immagini che si fissano indelebili nella mente. Il massacro che si compie, in maniera così crudele e spietata, è uno degli eventi che spinge Mon Mothma a rompere definitivamente con l’Impero. Tutto ci porta lì, a quel momento, al discorso finale della senatrice: una dichiarazione di guerra e di identità.

Quando abbandona le vesti e Cassian la copre con la sua giacca, mi sono sentito come se stessi assistendo a un battesimo. Da figura diplomatica a ribelle, senza più maschere. La sua fuga dal Senato insieme a Cassian mi ha ricordato quella, decisamente meno riuscita, di Obi-Wan e Leia, ma qui tutto ha un peso, tutto ha un senso e le differenze sono così evidenti a livello di narrazione e di regia che sono impressionato dalla qualità e dall’attenzione ai dettagli. Questo è il modo di raccontare una storia.

Poi ci sono loro: Dedra e Syril. Malati. Tossici. Una relazione distorta che si chiude nel modo che ti potresti aspettare, ma non senza regalarci momenti di ambiguità. Dedra, glaciale e senza scrupoli, ha quel breve attimo in cui sembra quasi umana – soffoca, letteralmente e metaforicamente – e poi si ricompone. Syril, invece, è un mistero. Quando Cassian gli chiede “Chi sei?”, lo vediamo esitare, perché neanche lui lo sa più. È diventato ciò che odiava, forse. La scazzottata con Cassian, coreografata benissimo, è la perfetta esplosione di tutte queste tensioni.

A chiudere, un momento che spezza la tensione: K2SO. Inquietante, devastante nella sua efficienza di droide da battaglia, ma anche capace di una battuta finale che mi ha fatto sorridere, nonostante le intense emozioni appena vissute. È la magia di Star Wars: riuscire a farti sentire tutto, sempre.

In definitiva, questi tre episodi sono Star Wars nella sua forma più matura e consapevole. Politico, doloroso, reale. Non vedo l’ora di vedere come collegheranno tutto all’inizio di Rogue One, e sono curioso di capire che fine faranno personaggi come Luthen o Bix, anche se una cosa è certa: non li dimenticherò.

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