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“La parola che rompe l’assedio” – Riflessioni sul Manifesto di Nemik

Ci sono parole che ti restano dentro.
Non perché siano perfette o solenni, ma perché arrivano dritte dove servono. Perché sembrano parlare proprio a te, proprio adesso.
Ci sono poesie travestite da proclami e frasi che sembrano armi. Silenzi che bruciano più di mille esplosioni.
E il Manifesto di Nemik è tutto questo insieme. È un grido sussurrato, un atto di fede laica, un promemoria per chi ha paura di non contare nulla.

L’abbiamo ascoltato nella prima stagione di Andor, letto nella sua versione più pura e idealista, scritto da un ragazzo pieno di convinzioni, che parlava con il fuoco negli occhi e con la consapevolezza che la libertà non si baratta. Poi, nella seconda stagione, ne risentiamo un frammento, in uno dei momenti più carichi di significato: è Partagas, figura chiave della macchina repressiva dell’Impero, a riascoltarlo poco prima di prendere la sua decisione estrema. Un ribelle e un burocrate, entrambi toccati dalle stesse parole.

Non è un caso. Non è mai un caso in Andor.

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Il manifesto di Karis Nemik

Il Manifesto di Karis Nemik viene citato per la prima volta nell’episodio 5 di Andor. Cassian lo ascolterà integralmente solo nel finale di stagione, trasformando quelle parole in guida e coscienza della Ribellione. (Immagine Disney - LucasFilm)
Il Manifesto di Karis Nemik viene citato per la prima volta nell’episodio 5 di Andor. Cassian lo ascolterà integralmente solo nel finale di stagione, trasformando quelle parole in guida e coscienza della Ribellione. (Immagine Disney – LucasFilm)

Riporto qui il Manifesto per intero, perché merita di essere letto con calma. Senza distrazioni. Come si leggono le cose che contano.


“Verranno tempi in cui combattere sembrerà impossibile,
ne sono certo.
Da soli, sfiduciati, sovrastati dalla grandezza del nemico.
Ricordate questo:
la libertà è un’idea pura, nasce spontaneamente e senza imposizioni.
Atti di rivolta casuali stanno avvenendo in ogni angolo della galassia.
Interi eserciti, battaglioni,
non hanno idea di essersi già arruolati per la Causa.
Ricordate che la frontiera della Ribellione è ovunque.
Anche la più piccola rivolta spinge le nostre linee più avanti.
E poi ricordate questo:
il bisogno imperiale di controllo è disperato perché è innaturale.
La tirannia richiede sforzi costanti, s’incrina e si rompe.
L’autorità è fragile.
L’oppressione è la maschera della paura. Ricordate questo.
E sappiate questo:
verrà il giorno in cui tutte queste schermaglie e battaglie,
queste rivolte,
romperanno gli argini dell’autorità dell’Impero.
E poi ce ne sarà una di troppo.
Una sola spezzerà l’assedio. Rammentate questo. Ribellatevi.”


Non c’è rabbia, in queste righe. Non c’è retorica.
C’è invece una limpidezza che spiazza. L’Impero non viene dipinto come un mostro, ma come un meccanismo logoro, artificiale, mantenuto in piedi da uno sforzo costante, quasi disperato.
Nemik non chiama alle armi. Non urla. Semplicemente, invita a ricordare. A guardare il mondo per quello che è. A capire che anche il gesto più piccolo ha un peso.

Quel che colpisce è proprio questo: l’idea che la resistenza sia ovunque. Che esista anche quando nessuno la organizza, anche quando nessuno la vede. Che chi lotta per la libertà, spesso, non sa nemmeno di starlo facendo.

E qui Andor diventa qualcosa che va oltre lo schermo. Il Manifesto di Nemik è un testo scritto dentro l’universo di Star Wars, ma risuona benissimo anche fuori. In un tempo, come il nostro, in cui è facile sentirsi soli, schiacciati, senza voce, quelle parole arrivano come una carezza e un richiamo. Ricordano che il potere si basa sulla paura. E che la paura, se condivisa, può trasformarsi in coraggio.

Il Maggiore Partagas dopo aver fallito nel contenere la Ribellione, ascolta una registrazione del Manifesto prima di togliersi la vita. (Immagine Disney - LucasFilm)
Il Maggiore Partagas dopo aver fallito nel contenere la Ribellione, ascolta una registrazione del Manifesto prima di togliersi la vita. (Immagine Disney – LucasFilm)

C’è un ulteriore dettaglio (clamoroso) che molti fan hanno notato già ai tempi della prima stagione, del quale abbiamo discusso anche durante le nostre live e che rende tutto ancora più potente.
In Rogue One, Cassian indossa una giacca di pelle con una tasca che sembra contenere un oggetto piatto, rigido, simile a un datapad. Non ci sono conferme ufficiali, ma in molti sospettano che si tratti proprio del Manifesto di Nemik.
Un’ipotesi bellissima. Perché significherebbe che Cassian ha portato con sé quelle parole fino alla fine, non le ha dimenticate, anzi gli sono rimaste cucite addosso, letteralmente.

Cassian Andor in Rogue One sembra aver cucito sulla sua giacca proprio il Manifesto di Nemik. (Immagine Disney - LucasFilm)
Cassian Andor in Rogue One sembra aver cucito sulla sua giacca proprio il Manifesto di Nemik. (Immagine Disney – LucasFilm)

E sarebbe un dettaglio pazzesco, considerando che la serie Andor è nata anni dopo Rogue One. Sarebbe l’ennesima dimostrazione della cura, dell’intelligenza e dell’amore con cui Tony Gilroy e il suo team hanno lavorato. Non per riscrivere Star Wars, ma per aggiungerle strati, profondità, verità.

Alla fine, il Manifesto dice una cosa sola:
basta un’ultima crepa. Una rivolta di troppo. Un gesto, anche piccolo, che faccia saltare tutto.

Nemik non è sopravvissuto. Ma le sue parole sì.
E a volte, a cambiare il mondo, sono proprio le parole che restano.


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